La “Bellezza di un Teorema”

Molti matematici ritengono che la bellezza sia un requisito fondamentale che un concetto o un teorema debba possedere affinché possa avere degna cittadinanza nella matematica.

Ad esempio, G. H. Hardy nella sua “Apologia di un matematico” (1940) collega la bellezza di un teorema alla sua serietà, cioè “alla significatività delle idee matematiche che esso riesce a mettere in relazione in modo naturale e illuminante”.

Si tratta quindi di una bellezza che hegelianamente rimanda ad un’armonia delle forme in un contesto ordinato e razionale, una sorta di necessità ineluttabile a cui, non solo la realtà, ma ogni mondo possibile debba conformarsi.

Un’idea che B. Russell nel 1902 descrisse plasticamente con le seguenti parole: “La matematica, giustamente considerata, non contiene soltanto la verità, ma la bellezza suprema, una bellezza fredda e austera, come quella della scultura, senza fare appello ad alcuna parte della nostra debole natura, senza le attrattive sensuali della pittura o della musica, e tuttavia sublimemente pura, capace di quell’alta perfezione che soltanto la grandissima arte esprime.” Ricorda molto lo spirito apollineo di cui parla F. Nietzsche ne “La nascita della tragedia” (1872), dove però, accanto ad esso, c’è tutto il pathos e la vita dello spirito dionisiaco.

La stessa tensione, lo stesso combattimento, la stessa umanità si ritrova nella descrizione della ricerca matematica fatta da A. Weil in un saggio del 1960: “Come sanno tutti i matematici, nulla è più fecondo di queste oscure analogie, questi indistinti riflessi tra una teoria e l’altra, queste carezze furtive, queste indecifrabili foschie; e nulla dà maggiore piacere allo studioso. Poi, un giorno, l’illusione svanisce, il presentimento diventa certezza, le teorie gemelle rivelano la loro origine comune prima di svanire. Come insegna la Gita si giunge alla conoscenza e all’indifferenza nello stesso tempo. La metafisica è diventata matematica, pronta a formare la materia di un trattato la cui fredda bellezza non saprà più emozionarci.”

Alessio Russo

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